La plastica in mare spiegata ai bambini

Semplici domande e risposte per comprendere tutto sull’inquinamento della plastica in mare: come nasce, i dati, le conseguenze e le soluzioni

Plastica sugli scogli di Fiumicino, a ridosso del mare

L’inquinamento dovuto alla plastica in mare è diventato il simbolo dei nostri giorni. Tanto che l’Onu dichiara: “I rifiuti di plastica sono così onnipresenti nell’ambiente naturale che gli scienziati hanno suggerito di utilizzarlo come indicatore geologico dell’era dell’Antropocene”. Si parte da un mozzicone per terra o un filo interdentale nel lavandino e si arriva alle isole di plastica, ai pesci intrappolati e alla microplastica nei nostri piatti. Come si è arrivati a questo punto? Per comprendere tutto il fenomeno occorre partire dall’inizio.

Che cos’è la plastica?

La plastica non esiste in natura, però deriva da materiali naturali: principalmente dal petrolio, ma anche dal carbone e da altri gas naturali. Questi materiali vengono sottoposti a complessi procedimenti chimici che danno origine a piccole particelle che hanno la capacità di unirsi tra di loro. L’unione di queste particelle origina una specie di pasta che si ammorbidisce col calore, assume la forma desiderata attraverso degli stampi e mantiene quella forma una volta che la temperatura si abbassa. Simile all’argilla, insomma, ma con caratteristiche che la rendono estremante vantaggiosa.

Quali sono le caratteristiche della plastica?

La produzione è molto semplice: in poco tempo si può ottenere un’enorme quantità di oggetti con la forma, il colore e la consistenza desiderata. Di conseguenza la plastica è anche economica: costa poco produrla, ma costa poco anche trasportarla, perché è più leggera di altri materiali come il vetro, il legno o il metallo.

Ma la caratterista principale è la sua resistenza: è impermeabile, non si corrode e non ammuffisce, non teme né il sole, né la pioggia, non è intaccata da batteri e funghi. La plastica dura di più. Questo vantaggio, però, diventa un problema quando si utilizza questo materiale, così resistente, in modalità “monouso”.

Che cos’è la plastica monouso?

Grazie alle sue caratteristiche (economicità, leggerezza e resistenza) la plastica è diventata il materiale principale per quei prodotti che si utilizzano una volta sola (detti anche “monouso o  “usa e getta”): il cotton fioc, le cannucce, le posate di plastica e così via. Inoltre è conveniente utilizzare la plastica per produrre tutti quei recipienti e involucri che hanno la sola funzione di contenere e preservare altri prodotti (il cosiddetto “packaging”). Ne sono un esempio le bottiglie per l’acqua, il polistirolo e le pellicole per preservare carni e verdure, i sacchetti per la spesa e lo shopping, i contenitori per detersivi o prodotti igienici. Tutto ciò ha provocato un aumento della produzione di plastica.

Quanta plastica viene prodotta?

I dati sull’utilizzo della plastica sono letteralmente esplosi nella seconda metà del secolo scorso. Si stima che siano state prodotte oltre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica in tutto il mondo a partire dal 1950 ad oggi, con un tasso di crescita superiore a qualunque altro materiale. Al momento la produzione supera le 300 tonnellate all’anno. E si assiste a uno spostamento dai prodotti duraturi a quelli monouso, tanto che metà di tutta la plastica prodotta è progettata per essere usato solo una volta. Basti pensare che ci sono un milione di bottiglie di plastica comprate ogni minuto. È facile intuire, quindi, che una buona parte di tutta questa produzione diventi ben presto spazzatura.

Quanti rifiuti di plastica produciamo?

Il 60% di tutta la plastica prodotta dal 1950 è diventata spazzatura. Attualmente la quantità annua di rifiuti di plastica che produciamo supera i 300 milioni di tonnellate (l’equivalente, circa, del peso dell’intera popolazione umana).

Che fine fanno i rifiuti di plastica?

Solo il 9% dei rifiuti di plastica prodotti sono stati riciclati. Circa il 19% è stato incenerito. Il 50% si trova nelle discariche. Il restante 22% è stato abbandonato in discariche abusive, bruciato a cielo aperto o rilasciato nell’ambiente naturale. Praticamente quasi tutti i rifiuti di plastica che sono sfuggiti alla corretta gestione (riciclo, incenerimento o discarica) e si trovano nell’ambiente, prima o poi finiscono in mare. 

Quanta plastica c’è in mare?

Ogni anno oltre 8 milioni di tonnellate di plastica finisce tra le onde (è come se un camion scaricasse rifiuti di plastica in mare ogni minuto). E, vista la sua resistenza al degrado, la sua permanenza in acqua dura secoli e continua ad accumularsi. Si stima che, di questo passo, nel 2050 in mare ci saranno più frammenti di plastica che pesci.

Come mai la plastica finisce in mare?

I canali principali attraverso i quali la plastica (sfuggita alla corretta gestione dei rifiuti) finisce in mare sono tre.

  1. ATTIVITA’ MARITTIME – La navigazione, la pesca e l’allevamento di pesce sono un fonte di dispersione diretta della plastica in mare, costituita soprattutto da reti, ma anche boe e cassette per il trasporto.
  2. ATTIVITA’ COSTIERE – I rifiuti di plastica dispersi nelle vicinanze del mare, raggiungono l’acqua a causa del vento o dell’alta marea che ingoia tutto quello che trova nella spiaggia. La situazione si aggrava in estate a causa del turismo: il grande afflusso di persone e le attività ricreative diventano una fonte di dispersione molto importante.
  3. FIUMI – I rifiuti di plastica dispersi ovunque finiscono comunque quasi tutti in mare attraverso i fiumi. Tutto quello che si trova per strada o nei marciapiedi (ad esempio i mozziconi) o che viene disperso in modo inopportuno nella tazza del water, finisce nel sistema fognario. Il depuratore fatica ad intercettare tutte le impurità, che poi i fiumi trasportano in mare.

Quali tipi di plastica ci sono in mare?

Sono state fatte molte ricerche, basate soprattuto sui rifiuti lasciati dalle onde sulla spiaggia. Il re incontrastato dei rifiuti mal gestiti è il mozzicone di sigaretta (il filtro contiene fibre di plastica!). A seguire ci sono bottiglie e tappi, cannucce, cotton fioc, sacchetti della spesa e contenitori per alimenti. Questo vale per quanto riguarda i rifiuti visibili. Il problema è che ci sono rifiuti che non si vedono a occhio nudo ma che finiscono per essere i più pericolosi: le microplastiche

Che cos’è la microplastica?

La microplastica è una particella di plastica più piccola di 5 millimetri. Rappresenta la stragrande maggioranza dei rifiuti trovati in mare. Questo piccolo frammento può avere diverse origini:

  • Può distaccarsi da oggetti più grandi e poi finire in mare. Succede soprattutto con il lavaggio in lavatrice di indumenti fatti di fibre sintetiche e con l’abrasione degli pneumatici nell’asfalto
  • Può essere prodotto in quel modo, ad esempio il pellet o i microgranuli che si trovano talvolta nei prodotti igienici
  • Può essere un frammento di un oggetto più grande che si è degradato in mare. La plastica infatti è quasi eterna, ma si degrada in pezzettini sempre più piccoli.

Quanto tempo dura la plastica in mare?

Un sacchetto dura solo 20 anni. Solo? Sì, perché i rifiuti più resistenti, come le bottiglie o i pannolini, possono restare in acqua quasi un mezzo millennio. Per liberarsi di una lenza di nylon, invece, si deve aspettare fino a 600 anni. Sono solo alcuni esempi della resistenza della plastica, la sua caratteristica principale, che l’ha resa così vantaggiosa ma anche dannosa allo stesso tempo. La plastica in acqua, semplicemente, resta in acqua: può frammentarsi, andare a fondo, galleggiare, essere trasportata dalle correnti e addirittura formare un isola!

Che cos’è un’isola di plastica?

Un’isola di plastica è un immenso agglomerato galleggiante di rifiuti. È un fenomeno legato alle correnti marine: in determinati punti formano dei vortici, che determinano il raggruppamento di ciò che è in balìa delle onde. La più grande isola di plastica è nell’Oceano Pacifico, la sua dimensione non è ben nota, comunque anche secondo le stime inferiori avrebbe un’estensione superiore a quella di nazioni come la Spagna. La seconda isola più grande si trova tra l’America del Sud e l’Africa meridionale. Ce ne sono altre nell’Oceano Indiano e nel mare Artico. E poi si comincia a parlare anche di un accumulo periodico, ma in crescita, nel mar Tirreno, tra la Corsica e l’isola d’Elba

Quanta plastica c’è nei mari italiani?

Nel mare italiano c’è tantissima microplastica, con livelli simili a quelli che si registrano nelle più grandi isole oceaniche. Nessun tratto di costa è risparmiato, neanche le aree marine protette. Nelle isole Tremiti, ad esempio, ci sono 2,2 frammenti per metro cubo; se si riempisse una piscina olimpionica con quell’acqua, si nuoterebbe in mezzo a 5.500 pezzi di plastica! La situazione è quindi critica, aggravata dal fatto che il Mediterraneo è un bacino praticamente chiuso. La plastica quindi si accumula più facilmente. 

Quali sono le principali conseguenze della plastica in mare?

Chi paga maggiormente questo tipo di inquinamento sono gli animali marini. La microplastica viene scambiata per cibo e inghiottita da numerosi pesci e mammiferi marini, che non riescono a digerirla e la accumulano nel loro stomaco. Reti, funi e lenze spesso si aggrovigliano intorno a pesci e tartarughe, intrappolandole. Secondo il WWF quasi ogni gruppo di specie marine è entrato in contatto con la plastica.

Quali sono le conseguenze per l’uomo?

L’uomo è al vertice della catena alimentare. Il pesce che inghiotte la microplastica, poi finisce nel suo piatto. Si stima, ad esempio, che praticamente un tonno su cinque nel Mediterraneo abbia ingerito dei frammenti. Questo ovviamente comporta problemi di salute. Le microplastiche possono contenere sostanze nocive, che possono causare cambiamenti ormonali, sterilità e problemi di crescita. 

Quali soluzioni sono state adottate?

Negli ultimi anni ci sono stati diversi provvedimenti per cercare una soluzione a questo tipo di inquinamento. In Italia i sacchetti di plastica per la spesa sono vietati dal 2011 e dal 2018 anche quelli per l’ortofrutta. Dal 2019 è proibito produrre e vendere cotton fioc non biodegradabili.  Dal 2022, invece, recependo una direttiva europea, è stata messa al bando la plastica monouso: piatti, posate e contenitori per alimenti e bevande.

Cosa si può fare individualmente?

Un comportamento virtuoso aiuta a combattere questo inquinamento e può diventare un esempio da seguire per gli altri. L’imperativo principale deve essere una corretta raccolta differenziata dei rifiuti. Evitare, quando possibile, di acquistare prodotti di plastica e prediligere altri materiali. Un esempio su tutti e quello di avere sempre a portata di mano una borraccia personale, che fortunatamente sta anche diventando una moda! 

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